Terzo settore:
cos'è?
Accanto alle istituzioni pubbliche e al mercato esiste un terzo sistema sociale ed economico che, fortunatamente, opera per l’interesse delle comunità.
Questi sistemi hanno in comune alcuni elementi: i privati che operano nel mercato, le istituzioni pubbliche che svolgono attività di interesse generale che interscambiandosi danno vita a un settore nuovo che opera per la comunità ed è un nuovo soggetto, parliamo del Terzo settore.
Il terzo settore è un insieme di enti di carattere privato che operano in diversi ambiti: l’assistenza alle persone con disabilità, la tutela dell’ambiente, i servizi sanitari e socio-assistenziali l’animazione culturale. Spesso gestiscono servizi di welfare istituzionale e sono presenti per la tutela del bene comune e la salvaguardia dei diritti negati.
Questa forma di assistenza in realtà esiste da anni con l’associanismo, ma il Terzo settore poi è stato riconosciuto giuridicamente in Italia a partire dal 2016 grazie alla riforma che ne definisce i confini e le regole di funzionamento.
Chi sono enti del Terzo settore?
Sono enti del Terzo settore:
- ente privato che opera senza scopo di lucro;
- svolge attività di interesse generale (definite dalla legge);
- opera per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale;
- è iscritto al registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS).
La mancanza dello scopo di lucro non significa non avere profitti ma che siano più semplicemente reinvestiti con lo scopo di finanziare le proprie attività, utili che non devono essere redistribuiti tra i membri delle proprie organizzazioni o ai propri dipendenti. Per questo motivo, fanno parte degli enti del terzo settore anche imprese sociali, cooperative o anche semplici associazioni che svolgono attività commerciali. Il terzo settore non è solo impegno sociale organizzato, ma è anche un motore importante dell’economia del paese, quella ispirata da finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale condivise.
Terzo settore e no profit
Spesso il Terzo settore viene sovrapposto, in maniera errata, al non profit; Il non profit è sia pure un complesso di enti privati che agiscono senza redistribuire gli utili e, in molti casi, operano alla stessa stregua in ambiti simili (come assistenza sociale, cultura, sanità, cooperazione internazionale).
Nonostante le possibili affinità, il Terzo settore rappresenta un perimetro ben definito di enti sottoposti a regole precise. Non tutti gli enti non profit possono entrare a far parte del Terzo settore: tra i principali requisiti c’è lo svolgimento di una o più attività di interesse generale. Esistono poi enti che vengono esclusi dalla legge (vedi sindacati, partiti o alle fondazioni di origine bancaria), che pur essendo enti non profit non possono rientrare nella categoria del Terzo settore.
Il vantaggio degli enti del Terzo settore proprio per le attività particolari svolte, si concretizza attraverso la possibilità di accedere a benefici e agevolazioni. Tutta la riforma del Terzo settore mira a individuare e perimetrare gli enti chiedendo con maggiori responsabilità, più trasparenza e gestione contabile, per offrire un regime fiscale e non di vantaggio e di opportunità di sostegno dedicate.
Cenno alle definizioni giuridiche
(Legge delega 106 del 2016): “Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di volontariato e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.
Codice del terzo settore (dlgs 117/2017): “Sono considerati enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di volontariato o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
Con la riforma del Terzo settore, dunque, la qualifica di ONLUS, abbreviazione di Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, scompare.
Ricordiamo che fu introdotta come legge quadro dal Decreto legislativo numero 460/1997 che, negli anni, ha garantito agli enti che l’hanno ottenuta una serie di agevolazioni fiscali.
Ora siamo in un periodo transitorio e di decisioni per gli enti del Terzo Settore già esistenti, dunque, in questa fasestorica si trovano difronte a un bivio:
- passare al Terzo Settore, adeguando lo statuto e scegliendo una delle forme previste dalla riforma;
- restare un semplice ente non commerciale, rinunciando ai benefici fiscali garantiti a coloro che entreranno a far parte del RUNTS.
Come previsto dal decreto legge 125/2020, le associazioni avranno tempo fino al 31 maggio 2021 per adeguare i propri statuti alle novità della riforma, usufruendo della modalità semplificata.
In ogni caso sarà possibile, come previsto anche per le precedenti scadenze, adeguare lo statuto anche dopo la scadenza del 31 maggio 2021, avvalendosi però non più della modalità semplificata, ma utilizzando quella tradizionalmente prevista per adeguamenti statutari seguendo quindi le regole deliberative dell’assemblea straordinaria anziché di quella ordinaria.
Si è fatto cenno più volte al Registro Unico del Terzo Settore, allora è doveroso spiegare che cos’è e come funziona.
Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore è da considerarsi il pilastro della riforma degli ETS; In esso confluiranno, infatti, tutti gli enti no profit tutelati dal legislatore e legittimati ad accedere ai benefici fiscali, sociali ed economici previsti dalla normativa. Solo dal momento della sua operatività, che si spera vada a regime nei prossimi mesi, però, potremo dire che la Riforma è entrata nel concreto della sua operatività. La competenza e la gestione è riservata al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ma la cui fattiva attuazione sarà affidata alle Regioni o alle Province autonome. Sarà un registro informatico, pubblico e reso accessibile a tutti gli interessati in modalità telematica.
Ultimo dato si desidera porlo in merito al concetto della personalità giuridica degli EtS e cosa cambia con la riforma in atto.
L’acquisizione della personalità giuridica degli Ets è una delle novità della riforma e viene superato il preesistente regime previsto dal Dpr n. 361/2000. L’iscrizione al registro unico nazionale del Terzo settore ricorrendo determinate condizioni, comporta il conseguimento, in forma omogenea e lineare, della personalità giuridica. La maggior parte degli enti associativi già costituiti ad oggi, non ne è provvista: non si tratta di un obbligo ma di una facoltà, e ciascun ente potrà valutare se cogliere o meno questa opportunità che consentirebbe di poter lavorare in maggior tranquillità e sicurezza. Infatti la personalità giuridica determina e garantisce l’autonomia patrimoniale perfetta.
Possiamo affermare che finora, l’unica possibilità per ottenerla era di attenersi a una procedura piuttosto “disomogenea” secondo il meccanismo introdotto dal DPR N. 361 rimette a Prefetture, Regioni e Province autonome il potere discrezionale di valutare la legalità degli atti costitutivi delle associazioni o delle fondazioni e, soprattutto, la sussistenza della consistenza patrimoniale necessaria, senza un parametro minimo unitario a cui attenersi su tutto il territorio nazionale. Una procedura che, si ricorda, risulta tutt’ora valida per tutti gli enti senza scopo, di cui al libro primo del codice civile, che non intendono conseguire la qualifica di Ets.
L’esperienza di questi anni dall’entrata in vigore del Dpr n. 361, ha evidenziato alcune lacune. Innanzitutto come sopra indicato, il requisito patrimoniale dato che l’impianto normativo non prevede un parametro di riferimento unico da considerarsi quale soglia di sbarramento.
Per la concessione della personalità giuridica, quindi, in alcune aree territoriali, la Prefettura (o la Regione o la Provincia autonoma) poteva ritenere necessario un determinato importo, totalmente diverso rispetto a quanto praticato in altri territori, creando così una disparità di trattamento e ponendo anche dubbi di legittimità. Questo eccesso di discrezionalità ha messo un’ipoteca sull’omogeneità nell’iter per l’ottenimento della personalità giuridica.
Il codice del Terzo settore ha voluto, pertanto, colmare le lacune sopra evidenziate, restringendo il campo solo per gli enti del Terzo settore.
Ma cosa è la personalità giuridica?
La personalità giuridica configura l’autonomia patrimoniale perfetta, grazie alla quale, per i debiti contratti ne risponde solo l’ente con il suo patrimonio senza che ci sia una responsabilità personale di chi agisce in nome e per conto dell’ente stesso.
Secondo quanto disposto dall’articolo 38 del codice civile, per chi ne è sprovvisto, la responsabilità personale e solidale cade in capo a chi agisce in nome e per conto dell’ente.
Il codice del Terzo settore introduce con l’art. 22 un’importante novità, in deroga al decreto del presidente della repubblica possono acquistare la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel Registro unico nazionale del terzo settore con l’intervento del notaio che procede a un principale controllo al fine di verificare la sussistenza della legalità sostanziale: il notaio, verifica che l’atto costitutivo di un ente del Terzo settore (Ets) o il verbale di adeguamento di un ente già esistente, nel loro contenuto sia conforme alle prescrizioni del codice del Terzo settore e che, quindi, l’ente disponga di tutti quegli elementi minimi indispensabili per la configurabilità di ente del Terzo settore.
Il secondo controllo che spetta al notaio è quello relativo alla verifica della congruità patrimoniale come previsto al comma 4 dell’art. 22 del codice TS.
La congruità è data dal limite patrimoniale minimo necessario per le associazioni che ammonta a 15.000 euro, per le fondazioni invece è di 30.000 euro.
Constato da parte del notaio che i requisiti diano un esito positivo, procederà, nei 20 giorni successivi alla stipula, alla iscrizione dell’atto costitutivo del registro unico nazionale del Terzo settore. Questa iscrizione avrà una natura costitutiva perché ne conseguirà l’acquisizione della personalità giuridica. L’ente iscritto nel registro unico nazionale dal notaio, quindi, sarà un ente del Terzo settore con personalità giuridica.
In sintesi, quindi, per tutti gli enti no profit che vogliano essere Ets e vogliono conseguire la personalità giuridica, intesa come autonomia patrimoniale perfetta, l'unica strada è quella dell'articolo 22 del codice del Terzo settore, ossia rivolgersi al notaio in quanto pubblico ufficiale, che opererà i controlli appena descritti.
Cosa comporta agli enti che decidono di non entrare nel registro unico nazionale del Terzo settore?
È utile precisare che il codice del Terzo settore non ha abrogato il dpr 361 del 2000, ossia il provvedimento legislativo che ha finora disciplinato l’iter per l’acquisto della personalità giuridica e che rimarrà in vigore per tutti gli enti senza scopo di lucro che non vogliano diventare enti del Terzo settore, (scelta facoltativa e non obbligatoria). Per gli enti che vogliano acquisire la personalità giuridica senza diventare Ets, l’iter sarà quello consolidato di rivolgersi alla Prefettura o alla Regione o Provincia autonoma territorialmente competente per presentare tutta la documentazione e rimettersi alla discrezionalità della pubblica amministrazione per la concessione della personalità giuridica.
La verifica sulla consistenza patrimoniale per l’acquisizione della personalità giuridica e in particolare all’iter da seguire per avere certezza che il controllo vada a buon fine, come precisato dall’art. 22 del codice del Terzo settore viene espressamente riconosciuto quando il patrimonio minimo in denaro è integralmente versato al momento dell’atto costitutivo in quanto (comma 4 del già citato articolo 22), la somma in parola deve essere “liquida e disponibile” attraverso p.es. l’emissione di un assegno circolare intestato al costituendo ente, così come avviene per le società a responsabilità limitata in sede di costituzione o, in alternativa mediante il versamento sul conto dedicato e impignorabile del notaio, in qualità di pubblico ufficiale, che attesterà la sussistenza della somma di denaro sufficiente per raggiungere il limite minimo di 15.000 o 30.000 euro.
Vi potrebbe essere anche la possibilità che il patrimonio iniziale dell’ente sia costituito da beni diversi dal denaro purchè ci sia una relazione giurata predisposta da un revisore legale o da una società di revisione iscritto nell'apposito albo tenuto dal Mef per la valutazione dei beni.
La consistenza del patrimonio minimo deve poi essere garantita per tutto il periodo di vita dell’ente senza che subisca oscillazioni rilevanti per garantire lo svolgimento delle attività di interesse generale dell’ente.
Per gli enti esistenti che inizialmente non hanno interesse ad acquisire la personalità giuridica, uno degli aspetti fondamentali è la facilitazione dell’intero percorso che offre una grande possibilità che potranno sempre acquisirla, con la sicurezza di dover disporre e di un patrimonio mimino determinato e non più indefinito. È vero che l’acquisizione della qualifica di ente del Terzo settore non è obbligatoria, ma si rileva che la maggior parte degli enti vogliono seguire questa strada anche perché le attività di interesse generale (art. 5 del Cts) hanno un ambito di applicazione così ampio da ricomprendere la stragrande maggioranza dei contesti di operatività degli enti no profit.